Genova: porti chiusi… alle armi

Una piccola ma significativa vittoria quella ottenuta dai lavoratori del porto di Genova che nei giorni scorsi si sono rifiutati di prestare lavoro per una nave cargo saudita e il suo mefitico carico di guerra, replicando l’esempio di quanto accaduto alla stessa nave nel porto francese di Le Havre. Già da tempo alcuni lavoratori avevano preso parola in merito: «Non possiamo tollerare che armi, bombe e mezzi militari passino sulle banchine e sulle navi dove lavoriamo, tantomeno vogliamo collaborare a questi traffici, ben sapendo dove sono diretti (in Arabia Saudita, per esempio) e come saranno impiegati (la carneficina degli yemeniti, per esempio). Il sistema portuale è un perno della logistica e le materie prime e semilavorati in transito sono spesso sporchi, per così dire, di sangue provenendo da Paesi ricchi di risorse naturali ma estratte e lavorate in condizioni di schiavitù che spesso portano alla malattia se non alla morte dei lavoratori. Tanti fuggono per arrivare in Paesi dove sicuramente si aspettano condizioni migliori di vita, ma incontrano i porti chiusi da meschini governanti italiani ed europei che li vorrebbero schiavi, colonizzati ma “a casa loro”. Forza lavoro a basso costo qui come altrove».
Dalle parole ai fatti: per un giorno i lavoratori del porto sono riusciti a ribaltare l’assunto criminale del governo italiano sui porti chiusi chiudendo a loro volta l’accesso ai trafficanti di morte.
Un compagno portuale ci racconta i fatti di questi ultimi giorni.

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