Nei meandri del dispositivo correttivo minorile
Da anni ormai, nella aule scolastiche di ogni genere e grado, l’educazione alla legalità rappresenta di fatto una materia trasversale vòlta a inculcare le basi ideologiche della cittadinanza e dell’obbedienza, secondo cui «la legge è sempre buona» e «se si vogliono cambiare le cose, bisogna cambiare la legge» – beninteso: «secondo le modalità previste dalla legge stessa». Stante la delicatezza della materia da plasmare, il trattamento riservato ai “minori” che decidono determinare in piena autonomia i propri valori e, soprattutto, le proprie modalità di intervento sul reale prevede una gamma surreale di interventi di reinserimento spesso ancor più subdoli e violenti della schietta azione repressiva.
In questo contributo, a partire da una fantomatica maxi-inchiesta relativa a fatti risalenti all’autunno del 2017, seguiamo una giovane compagna in un viaggio nei labirinti del dispositivo correttivo minorile dove l’occhiuta sorveglianza di giudici-psicologi e assistenti sociali valuta non già le condotte specifiche degli imputati (i supposti reati), bensì il grado di raddrizzamento della persona e dei suoi tratti socialmente pericolosi.